Marzo 2016, partiamo, avendo poco più di un mese di tempo per tornarcene a casa con le prime immagini del film. Il paesino in cui giriamo, Jamna, è molto piccolo, ma le case sono sparse per kilometri lungo la valle, fin dentro al bosco, e non ci sono piazze o luoghi di aggregazione. Sono passati più di due anni dai primi sopralluoghi e ne passeranno altri tre prima che il film si concluda. È un momento delicato, bisogna far sì che le persone si abituino alla nostra presenza e ci accolgano, fino a dimenticarsi del tutto che siamo lì a filmarli.

Proprio a lato del sanatorio, c’è un’antica chiesetta, ancora in legno, col tetto ricoperto da decorazioni metalliche come vuole l’usanza locale. Chiediamo di entrare e filmare la gente a messa. Non che serva al film. Ci disponiamo distanti, tra di noi, di modo che ognuno possa avere un punto di osservazione diverso. Di domenica in domenica, anche al nostro ritorno, nei mesi successivi, osserviamo le persone salutarsi, pregare, pensare, annoiarsi, scambiarsi sguardi d’invidia o d’affetto. Assistiamo alla nascita del primo amore tra un ragazzino sempre in prima fila e una bimba del coro, che cerca di non farsi vedere da nessuno mentre dall’alto del soppalco, con le dita, mima dei cuori nella sua direzione.

La chiesa di Sant’Andrea a Castelletto, risale al XIX secolo: ha una sola navata e il tetto non esiste più. Si trova in cima a un colle, luogo di congiunzione ideale tra terra e cielo. Proiettiamo sull’altare l’unica sequenza rimasta all’interno del film di quell’altra chiesa in Ucraina. La luna rischiara le volte e nonostante gli alberi siano gli unici ospiti presenti oltre a noi, pare di sentire bisbigliare le mura spoglie tutt’attorno.


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