Atto IX
3 novembre. Abbiamo fissato la data diverse settimane fa. Nei giorni immediatamente precedenti ci riconfermiamo più volte l’appuntamento. Con molta probabilità da domani, con l’annuncio del nuovo decreto, i musei chiuderanno, e avere ancora la possibilità di accedere al palazzo e proiettare è un caso puramente fortuito. Abbiamo scelto due frammenti, simbolicamente l’incipit e la chiusa del film. Attraversiamo la città semideserta e raggiungiamo infine i Chiostri di San Pietro; mentre ci avviamo verso l’ultimo piano del palazzo, le sale del museo, vuote, amplificano il suono dei nostri passi. Nel film, le inquadrature iniziali sono le ultime in ordine cronologico e le uniche girate in Italia. Per molto tempo ho faticato a dar forma a quest’introduzione che volevo solenne, essenziale e intimamente veritiera; gli oggetti che vi appaiono, filmati frontalmente su uno sfondo di legno, erano per me gli unici testimoni attendibili della storia che avrei raccontato, le prove che mi avrebbero messo al banco in un’immaginaria aula di tribunale, di fronte a una giuria costituita dalle anime dei miei avi.
Il portale scuro in fondo alla sala, al centro della parete sulla quale proiettiamo, si smangia, voracemente, porzioni d’immagini, quasi le volesse risucchiare.
Ci spostiamo all’interno del chiostro maggiore e posizioniamo, al centro di quella che pare essere quasi un’arena, proiettore, casse, computer, camera, per l’ultimo frammento. Lo spazio regolare, ribassato rispetto al piano dei colonnati, agisce da cassa di risonanza amplificando ogni nostro minimo gesto; in alto, il cielo, da grigio, tende ora ad un colore aranciato: non manca poi molto a un buio sufficiente, ma è ancora troppo presto. Dietro le parole e i pensieri che ci scambiamo nell’attesa, si avverte un’ansia comune, sottile, tangibile, che noi tutti sappiamo, nostro malgrado, prenderà concretezza in poche ore, al più tardi domani. La proiezione ha inizio e una dopo l’altra scorrono fluide le inquadrature. Il cancello chiuso, il bosco innevato. E gli ultimi esseri viventi. Un picchio e i quattro giovani boscaioli, trasfigurati ora in giganti che si muovono sulle arcate del palazzo; esseri allo stremo, condannati ad arrancare per sempre nella neve alta, affondando sotto il peso di immensi tronchi di legno.